Queste foto raccontano non la natura, ma come la immaginiamo, come dovrebbe essere.
Mostra fotografica Collettiva dei soci del “Circolo Fotografico Tannetum” inclusa nel CIRCUITO OFF dell’edizione 2024 di Fotografia Europea
Nelle immagini di questi dodici fotografi è difficile dire che la natura si nasconda, ma forse è bene non esserne tanto sicuri. Si vede subito che sono donne e uomini in rapporto tra di loro. Certo, un circolo fotografico come quello di Taneto è fatto proprio per questo, confrontarsi, scambiarsi quasi gli occhi, ma la prima cosa che impressiona è proprio la compattezza apparente della loro idea di natura pure in una tavolozza così variegata di toni e atmosfere. In tutte vi sono figure, di solito una o due, un raggio che va dal salto gioioso di Abdel all’ “omino sul ciglio del burrone” di Alessandra. E qui, quando viene da citare un titolo ghirriano la pulce saltella nell’orecchio (a proposito di natura nascosta) anzi, vi ha messo targhetta e campanello.
Queste foto così “pastose” e delicate raccontano non la natura, ma il naturale di secondo grado del nostro percepire l’idea di natura. E si chiama cultura, e indica bellezza e presunzione del nostro ritenerci altro dalla natura. Perché quando diciamo di natura ci siamo già messi nel posto sbagliato, come se tutto dipendesse da noi, anche la natura, e ci illudessimo che la nostra scomparsa a causa del danno che facciamo agli equilibri di clima e stato fisico del nostro (nostro? Ma mi faccia il piacere…) ambiente sarebbe un disastro. Sarebbe al massimo trionfo di ciò che noi chiamiamo stupidità. Meglio ripassare il dialogo leopardiano tra un islandese e la natura, e lasciarci indietro la vergogna del piacere della bellezza, delle cose viste da altri e di quelle che comunque vediamo ogni giorno come per la prima volta. E questi dodici abitanti del pianeta lo fanno bene: affrontano il luogo comune e lo attraversano, restituiscono scene e oggetti proprio come li immaginiamo, come dovrebbero essere: le casette e il piccolo abete, l’albero ridotto a suo simbolo come in un dipinto di Carlo Mattioli, il tramonto e il controluce. Anche l’impressionante, il sublime, prendono una dimensione dolcemente domestica. Potremmo chiamarli ottimi esercizi di stile, e lo sono nel senso di verifiche -come per Quenau- dei bordi giocosi del linguaggio delle immagini, il gioco degli occhi.
Paolo Barbaro